Petricore

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Oggi piove, c’è nell’aria l’odore della pioggia d’estate. Ho guardato il mio letto ancora da rifare, le lenzuola arruffate e i cuscini sparsi e mi è venuta voglia di passarci la giornata, il naso sotto la finestra ad aspirare quel profumo meraviglioso, guardare le lunghe gocce cadere, il cielo grigio ma luminoso, come la promessa di un pomeriggio assolato e caldo.

Mi ha ricordato la pigrizia delle lunghe giornate estive da ragazza, quando era finita la scuola e potevi fare del tempo tutto ciò che volevi, ma internet era lontano e quindi spesso leggevo, facevo passeggiate, andavo in bicicletta, nelle ore più calde ascoltavo la radio sdraiata sul mio letto, a fissare le mosche che ronzavano sul soffitto.

Mi annoiavo? A volte. Ma certo ho nostalgia di quei pomeriggi, di quelle sere in cui guardavamo tutti insieme “Giochi senza frontiere” con sottofondo di zampirone e ghiaccioli e poi veniva il giorno in cui andavamo in vacanza veramente, al mare.

E quando là pioveva, era magico: anche se in campeggio era piuttosto scomodo, perchè ti si riempivano i piedi di terra in un secondo e tu giravi praticamente solo in ciabatte, l’aria si rinfrescava subito e si doveva indossare la felpa o i calzoni lunghi, la coperta sul letto, mangiare in veranda: era come un piccolo assaggio di autunno, come se settembre ti chiamasse con la promessa di nuove avventure e novità, la scuola, gli amici “di città”, i sogni che ancora non avevi fatto.

E il giorno dopo ti svegliavi e il sole era ancora alto e splendente e non vedevi l’ora di correre di nuovo in spiaggia, chiedendo a settembre di aspettare ancora un po’, di farti godere ancora di quell’estate infinita.

Una Panda è per sempre

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La Panda dovrebbe essere eletta patrimonio dell’umanità, a suffragio universale.

Ma non la Panda di oggi, quella squadratina ma smussata, un po’ “devo entrare nel parcheggio” un po’ “va bene anche una macchina scrausa che tanto guido poco”.

Parlo della Panda prima serie creata nel 1980, quella squadrata, essenziale, linee assolutamente non aerodinamiche, che quando toccavi i 100km/h dovevi metterti il paraorecchie per il rumore, mono-tergicristallo, che andava dappertutto e non chiedeva niente in cambio.

Quella Panda credo sia stata la macchina più comprata nelle generazioni italiane per darla in pasto ai figli neo patentati, un po’ perché costava poco, un po’ per l’incondizionata fiducia che i genitori riponevano (e ripongono) nel pargoli freschi di guide.

E infatti la mia prima macchina è stata una Panda, grigia chiara, la chiamavo “la Pandina”. Il primo giorno, e dico il primo, la uso per andare a scuola. Dopo averla ritirata dal concessionario il giorno prima, la parcheggio tra un palo e un albero.  Il mattino dopo faccio manovra per uscire e non vuoi passare con la portiera sul palo? Per la mia famiglia ancora oggi è stato un cafone che mi ha parcheggiato male vicino, pensa te, ‘sti buzzurri neopatentati.

Quanti segreti ha sentito quella Pandina, quando durante le grigliate estive io e le amiche ci chiudevamo dentro con 38° all’ombra e del Sangue di Giuda; quante sigarette fumate, baci, risate, vacanze e danni. Quando l’ho data via mi è pianto il cuore, ma ho iniziato a viaggiare per lavoro e la Panda non reggeva il ritmo, ma so che da lontano mi ha sfanalato per dire “non ti preoccupare, io capisco, ti voglio bene.”

Quanto è strano essere legati sentimentalmente a degli oggetti, non pare bizzarro? Sono cose, prive dell’anima, direte voi; avete ragione, rispondo io, ma non con la Panda: la Panda vera, verace, 4×4, un animo ce l’ha, e ci seguirà anche se comprassimo una Mercedes Classe A, perché per alcuni di noi, la Panda è uno stile di vita, un modo di essere: una Panda è per sempre.

Family Recipe

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Oggi ho pranzato con una mia amica, diventata mamma da poco e abbiamo riflettuto su quanto il comportamento e le preferenze dei genitori possano influire sui figli.

Abbiamo pensato a tutto quello che, nel bene e nel male e nella buona volontà, hanno fatto i nostri genitori con noi e a quello che vorremmo per i nostri pargoli, ma non abbiamo concluso nulla.

Il lato peggiore di essere genitore non è farsi mandare a quel paese in adolescenza, anche se so che sarà molto dura; non è ripulire vomiti e cacchine, né fare le notti in bianco: è il non sapere quanto quello che facciamo oggi influenzerà le personalità dei nostri figli domani.

Mio figlio è un bimbo molto sensibile, già a cinque anni e mezzo somatizza se è triste o preoccupato e gli viene il mal di pancia. Mia figlia a tre anni e mezzo se le dici di fare qualcosa che non le va già alza gli occhi al cielo e sbuffa e quindi tu reagisci.

Quanta dolcezza dovrei usare con mio figlio, fino a che punto è giusto tenergli la mano e quanto invece dovrei “scrollarlo” per renderlo più emozionalmente autonomo? Quanto dovrei sgridare mia figlia perché non sia una irrispettosa bulla già alle elementari?

Non ho la formula magica, non so quale sia la giusta proporzione: so solo che ogni genitore cerca di fare il meglio per il proprio figlio e che si sentirà comunque inadeguato. E so che ogni figlio capirà meglio i propri genitori solo quando lo diventerà a sua volta, e che nel frattempo avrà un tot di traumi da raccontare al suo analista e si sentirà comunque inadeguato.

L’unico consiglio che sento di dare è questo: amatevi, voi stessi e i vostri figli, non siate troppo duri con voi stessi e…godetevi il viaggio. Parlate, ballate, giocate e divertitevi, più stretti che si può.

La stronzaggine dell piccole cose

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Io amo le piccole cose, la gioia che mi danno il profumo del caffè, il caldo umido e liscio della sabbia, la ruvidezza del lino.

Ma.

Vogliamo parlare di quando le piccole cose si accaniscono?

Quando hai urgenza di prendere proprio quel farmaco lì, sì lui, che ti sta esplodendo la testa e questo ti salverebbe la vita perché si scioglie sulla lingua ed in una manciata di secondi stai in paradiso? Ma lui si apre dalla parte del bugiardino. Che sicuramente tu hai ripiegato male l’ultima volta che l’hai usato, e quindi ci metti un mese e mezzo a rimetterlo nella scatola che improvvisamente è diventata tre volte più piccola e quello fugna e si incischia e si piega in maledette posizioni disconosciute dalla scienza e quando ormai riesci a prendere il farmaco è per il mal di testa di tre giorni più tardi.

Le cuffiette, quell’aggeggio che soprattutto con la pandemia ormai sono diventate un prolungamento dell’orecchio, tipo quelle oblunghe dei fratelli Weasley. Dopo una lunga giornata, le arrotoli con attenzione, le posi delicatamente nella loro scatolina, sussurri anche paroline dolci per rassicurarle e dare loro la buonanotte e poi, il mattino dopo, SBADABAM intrecciate che manco i capelli di Rapunzel dopo un incontro con un rottweiler.

Le piante in vaso: le mie mi odiano, ma io le amo lo stesso e quindi ne tengo qualcuna. Ogni paio di giorni le innaffio e prontamente quel mezzo millilitro in meno: il giorno dopo sono aride come il deserto, mezzo millilitro in più: l’acqua deborda dal sottovaso e si riversa dal balcone con effetto cascata, con annesso vicino rompixxxxxx che ti citofona giusto mentre sei in bagno.

E, dulcis in fundo, la zip. E non la zip piccola dei jeans che dici vabè, la copro con la maglia, non se ne accorgerà nessuno, nossignori: la zip della giacca a vento, che ti serve per la sopravvivenza perché quel giorno tira la bora e ti devi coprire per non prendere la broncomorte. Se la giacca è un po’ vecchia e la zip un po’ rovinata, tu la tiri su e lei resta giù, metà segue il tuo braccio e l’altra metà scende verso le cosce, e via così per almeno venti minuti. Quando finalmente sarai riuscita a chiudere tutto, avrai voglia di andare in un posto caldo a bere un the e quindi vorrai toglierti la giacca. NOSSIGNORI. Lei non si apre, costringendoti ad una danza magrebina nel bel mezzo del locale perché tenti di levarla sfilandola come un maglione, sudando come un maiale.

Poi esci senza giacca che ormai hai caldo e voilà, broncomorte assicurata.

Sincerità

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Ci sono giornate che volano via come fossero nuvole; certe pesanti come coltri d’inverno.

Ci sono pensieri e preoccupazioni che non se ne vanno mai, altre che vanno e vengono, altre che basta soffiarle via come palloncini al vento.

Come trovare un equilibrio? Come amarsi e basta?

Come ritenersi abbastanza per tutto e tutti, senza soccombere?

Sorridere.

Essere felici per il sole, per un abbraccio, per un bacio.

Per parole che non mentono mai.